L’esperienza vissuta ci ha insegnato che la parola chiave è “prevenzione”. Comportamenti corretti e qualità dell’edificio sono le leve su cui possiamo agire da subito, per non farci cogliere impreparati. È questo uno degli assunti su cui si fonda la strategia in materia di ricostruzione del Commissario e della Regione Emilia-Romagna, un elemento già presente nel primo provvedimento, la legge regionale n. 16 del 2012, che detta i principi e predispone gli strumenti utili. Si tratta di una legge speciale che integra e rafforza altre norme e riguarda esclusivamente i comuni del cratere – e i limitrofi -, gli edifici danneggiati dal sisma e il periodo necessario alla realizzazione dell’intervento. In pratica, con l’obiettivo di accelerare la ricostruzione e di riflettere contemporaneamente sulle scelte fatte, con questa legge si è operato per snellire le procedure necessarie all’avvio dei lavori, pur salvaguardando le regole della pianificazione e i vincoli ambientali, paesaggistici e storico culturali.
Punto primo: gratuità degli interventi
La legge speciale ribadisce la gratuità interventi di riparazione, ripristino e miglioramento sismico o ricostruzione, tutti esentati dai contributi di costruzione.
Punto secondo: ricostruire edifici più sicuri e più efficienti
La legge promuove una serie di misure volte a incrementare il livello di sicurezza sismica e di qualità urbana, attraverso incentivi per il miglioramento del rendimento energetico e l’obbligo di ricostruire al di fuori delle fasce di rispetto stradale e dei corsi d’acqua.
Punto terzo: corsia preferenziale per la ricostruzione
Grazie alla norma, tutto ciò che può favorire la ripresa delle normali condizioni di vita e delle attività ha la precedenza. Elementi qualificanti sono, ad esempio, la possibilità di attuare le trasformazioni edilizie già consentite dai piani regolatori, procedendo direttamente alla presentazione delle documentazioni tecniche (Pua, piano urbanistico attuativo) senza attendere i normali iter amministrativi. Inoltre, per gli edifici danneggiati e classificati con esito B, C o E0, viene semplificata la gestione delle pratiche. Anche le strutture vincolate – per le quali permangono le prescrizioni di tutela – vengono dispensate dagli obblighi in caso di crollo dell’edificio (completo o superiore al 50%, ma tale da aver compromesso la struttura) o di demolizione per motivi di incolumità pubblica. Nelle aree rurali la norma autorizza interventi di ripristino e riparazione che prevedano la modifica della sagoma e la riduzione delle volumetrie (ad eccezione degli immobili vincolati) e, nel caso di crolli, l’accorpamento degli edifici appartenenti alla stessa azienda (purché non abitativi) e la delocalizzazione dei fabbricati sparsi non più funzionali all’attività agricola. Anche grazie a questi presupposti la ricostruzione abitativa parte in tempi record, mantenendo un ritmo tanto serrato da essere praticamente completata entro dieci anni. Parallelamente si sviluppa una riflessione sui modelli di ricostruzione, che coinvolge istituzioni, mondo accademico e scientifico, imprese e professioni. Sono decine i seminari, gli incontri, i convegni e le pubblicazioni organizzati per approfondire i diversi ambiti della conoscenza – dall’urbanistica all’economia, dall’architettura alla sociologia, all’innovazione sociale – con l’obiettivo di individuare esperienze utili maturate in altri contesti e confrontarsi su progettualità innovative da sperimentare nel laboratorio emiliano. In sostanza, malgrado l’urgenza, ci si interroga e ci si affida alle competenze per capire come sia meglio procedere.
La scelta prioritaria è stata quella di garantire il rientro della popolazione nelle proprie case, per evitare il rischio di spopolamento dei centri abitati e l’abbandono dei territori rurali. Si è puntato quindi al recupero dei beni storici e culturali, attraverso la valorizzazione dell’identità dei luoghi. Per quanto riguarda le abitazioni in senso stretto, dopo le prime attività di sostegno in emergenza, la popolazione è stata accompagnata verso il recupero e il ripristino delle proprie case, attuato attraverso i contributi per gli interventi di ricostruzione, gestiti dai Comuni tramite la piattaforma Mude (Modello unico digitale per l’edilizia).
Le procedure edilizie della ricostruzione sono state digitalizzate per garantire certezze procedurali, trasparenza e semplificazione nel deposito dei materiali.
La digitalizzazione ha consentito ai professionisti di dialogare a distanza con gli enti e le istituzioni, di accedere a modulistica, fogli di calcolo, prezziari regionali e di ricevere un’assistenza continua attraverso un help desk dedicato. Attraverso il portale Mude per l’emergenza terremoto è stato possibile espletare tutte le pratiche edilizie necessarie per gli interventi di recupero o ripristino degli immobili a uso privato abitativo e contestualmente richiedere il contributo per i lavori. Con la stessa piattaforma sono state gestite anche le piccole attività produttive nei centri storici e le residenze agricole in zona rurale. Le risorse pubbliche sono state concesse con il meccanismo del credito di imposta, che ha permesso di avere sin dal 2012 la certezza dei fondi a disposizione. A dieci anni dal sisma, la ricostruzione delle abitazioni volge al termine, come testimoniano i dati relativi alle richieste di contributo pervenute attraverso la piattaforma Mude (valori al 28 febbraio 2022). A fronte di 9.902 domande processate, 9.833 hanno ricevuto l’approvazione, per un totale di 3,2 miliardi di contributi concessi, di cui quasi 2,8 miliardi già liquidati. I cantieri completati, che sono 8.414, riguardano 17.254 abitazioni e coinvolgono 27.157 persone, ovvero cittadine e cittadini che hanno fatto rientro nei propri immobili ristrutturati, più sicuri e più efficienti. Alle case, si aggiungono 6.870 unità immobiliari destinate a piccole attività economiche, di cui 1.799 a uso produttivo come laboratori, 2.056 locali commerciali, 877 uffici e 2.138 depositi. Per comprendere meglio i dati bisogna considerare che ogni domanda riguarda un intero edificio, che può essere composto da una o più unità immobiliari con diverse destinazioni d’uso (abitazioni, uffici, negozi e magazzini). Il termine per la presentazione delle domande si è chiuso il 31 ottobre 2017, data oltre la quale i Comuni hanno accettato solo le istanze relative ad abitazioni principali giunte tardivamente per comprovate motivazioni. Numeri, grafici e tabelle di questo capitolo, quindi, fotografano una situazione molto vicina al traguardo finale.