Per comprendere l’operato della Regione e delle altre istituzioni coinvolte “continuità” è la parola chiave, da leggere nella duplice accezione di impegno nel garantire i servizi essenziali in emergenza, ma anche di visione progettuale. In sostanza, la preoccupazione è stata quella di concepire una continuità fra emergenza, transizione e ricostruzione, così da gestire le diverse fasi avendo un disegno chiaro del dopo, ancorato ad alcuni assunti molto netti: no alle “new town”, sì al recupero dei beni storici e culturali e alla salvaguardia del territorio agricolo e dell’identità dei luoghi.
Dopo le prime scosse, la risposta degli abitanti e delle istituzioni locali è immediata. È ancora buio quando si fa la conta delle persone casa per casa, si prestano i primi soccorsi, si recuperano le coperte e si attende il sorgere del sole. Le colonne mobili della Protezione civile arrivano nelle primissime ore del mattino e si snodano un po’ ovunque lungo le provinciali. Già il giorno successivo al sisma, il 21 maggio, sono disponibili 7.000 posti coperti a fronte di 5.292 sfollati: 3.515 nei 10 campi di accoglienza e nelle altre strutture del modenese, 1.635 nel ferrarese, 116 nel bolognese e 26 a Reggio Emilia. Dopo la scossa del 29 maggio i campi di accoglienza diventano 36 (di cui ben 29 nei comuni del modenese), che si sommano ad altre 53 strutture al coperto. Tantissimi Comuni al di fuori del cratere mettono a disposizione il proprio personale per garantire la continuità amministrativa, lo stesso fanno le Associazioni di geometri volontari regionali (Agv-Er) e nazionali (Agepro), insieme all’Anci e alla Upi.
Nei primi sei mesi di emergenza la colonna mobile dell’Emilia-Romagna impiega 7 mila volontari, che operano accanto ai 14 mila della colonna nazionale.
Sono 16 mila le persone assistite e ospitate tra campi tenda, alberghi e altre strutture al coperto; un numero contenuto, se si considera che più della metà degli evacuati dalle abitazioni inagibili trova una sistemazione grazie alla rete personale di relazioni. Per ridurre al minimo il tempo di permanenza negli alloggi di emergenza e quindi i disagi, vengono emanati provvedimenti (Programma casa) per offrire soluzioni alternative favorendo, ove possibile, un rapido rientro nelle case. La prima misura è il contributo di autonoma sistemazione (Cas) gestito inizialmente dal dipartimento della Protezione civile (fino a luglio 2012), poi direttamente dalla struttura commissariale. L’altra opportunità consiste nella possibilità per i Comuni di individuare alloggi disponibili da offrire alle categorie più fragili indicate in base a una graduatoria, come le famiglie numerose, quelle con disabili, anziani o persone con patologie gravi. Il terzo punto è la creazione di una procedura rapida per la riparazione degli edifici privati con danni di entità moderata (categorie di agibilità “B” e “C”), mediante l’avvio anticipato dei lavori. In sostanza, il Programma casa è espressione di un approccio all’emergenza condiviso dal Commissario e dai sindaci dei Comuni coinvolti, finalizzato a privilegiare il ritorno nelle abitazioni esistenti e a considerare il ricorso ai moduli temporanei come soluzione residuale. Questa strategia ha portato a una richiesta di alloggi temporanei molto limitata, se rapportata al numero di nuclei famigliari in gioco.
Anche il clima estivo contribuisce al raggiungimento dell’obiettivo, sia contenendo i disagi delle famiglie ospitate nelle strutture comuni, sia concedendo al sistema pubblico il tempo necessario per mettere a punto le soluzioni alternative.
Per identificare il fabbisogno corretto di unità abitative temporanee il percorso non è stato facile.
I numeri raccolti dai Comuni hanno subito continue variazioni, com’è fisiologico nelle situazioni di instabilità, anche perché si è cercato di ridurli giorno per giorno, accompagnando i nuclei uno per uno a cercare percorsi e soluzioni alternative e meno precarie (altri alloggi agibili, rete familiare, eccetera). Nessun cambiamento, invece, nella visione condivisa da Commissario e Comuni, che ha sempre assegnato ai prefabbricati rimovibili (Pmar) il compito di garantire condizioni abitative dignitose, ma limitate nel tempo (circa tre anni e comunque non oltre i sei).
Per realizzare questo tipo di operazioni bisogna innanzitutto disporre di aree urbanizzate; in caso contrario è necessario individuarle, acquisirle e attrezzarle adeguatamente, impegno che non è né semplice, né immediato. Gli insediamenti colpiti dal sisma non disponevano di aree già libere e urbanizzate di dimensione sufficientemente ampia da poter ospitare l’installazione dei moduli abitativi. Gli uffici tecnici dei Comuni hanno quindi individuato per ciascun territorio i siti più adatti allo scopo vicini ai centri abitati, per limitare le opere infrastrutturali di collegamento.
Dopo aver identificato le aree, è stato necessario mediare tra le prerogative dei legittimi proprietari e quelle della comunità, procedendo con le operazioni di esproprio.
Il modello utilizzato privilegia l’adozione di soluzioni temporanee e limitate di medio termine con un livello di comfort ambientale sufficiente ma comunque tale da escludere ipotesi di stabilità.
In alcuni casi si è riusciti a condividere le scelte e il valore delle indennità, in altri si è dovuto ricorrere agli organi preposti e al contenzioso giudiziario. Un percorso complesso, che è stato portato a termine in tempi record e che, alla fine, ha portato alla realizzazione di 755 moduli prefabbricati, su una superficie complessiva occupata di mq 212.855 e un costo totale di 55.906.760 euro (di cui 40.463.756 per lavori e 477.214 per la manutenzione triennale), a cui si sono aggiunte altre spese per garantire la piena fruibilità dei moduli (arredi e impianti, eccetera) per un totale di 14.965.788 euro.
Garantire la regolare conclusione dell’anno scolastico e riportare tutti i ragazzi in classe dopo la pausa estiva per rispettare il normale calendario dell’istruzione: un obiettivo altissimo per un territorio che in pochi giorni ha perso l’agibilità di 570 istituti. Eppure l’Emilia ci ha creduto e ce l’ha fatta. La struttura commissariale ha elaborato e approvato in appena un mese il Programma operativo scuole (ordinanza n. 5 del 5 luglio 2012), finalizzato a favorire la rapida realizzazione delle opere di ripristino, mediante tre tipologie di intervento. La prima consiste nella riparazione immediata degli istituti con esito di agibilità “B” e “C” (ovvero con danni lievi), per consentirne l’utilizzo già a settembre 2012, mentre la seconda prevede la creazione di edifici scolastici temporanei (Est) dove ricollocare gli studenti delle scuole che non possono essere ripristinate entro settembre 2013, e la terza l’impiego di prefabbricati modulari (Pms) per coprire il fabbisogno degli edifici riparabili in tempi brevi. La gestione della prima tipologia di intervento è stata affidata a Comuni, Province e proprietari delle scuole paritarie, che hanno realizzato le opere, mettendo in sicurezza oltre 300 istituti. Per quanto riguarda, invece, gli edifici scolastici temporanei, come per le abitazioni si è proceduto individuando in primo luogo le aree, poi realizzando i lavori di urbanizzazione e approvando le varianti agli strumenti urbanistici, in modo da conseguire gli obiettivi mantenendo ordine sul piano amministrativo e senza farsi travolgere dall’emergenza.
L’individuazione delle aree viene portata avanti in accordo con i Comuni, quella delle esigenze formative viene concordata con i dirigenti scolastici per definire tipologia di istituto, numero delle classi e dotazioni, quali laboratori, mense e uffici.
In quest’ottica sono state bandite le gare di appalto, che hanno premiato le offerte economicamente più vantaggiose; le imprese hanno sviluppato i progetti preliminari e, dopo l’aggiudicazione, le vincitrici hanno immediatamente avviato i lavori. Tutti gli edifici scolastici temporanei – 28 complessivamente – sono stati realizzati entro ottobre 2012, quindi in linea con i tempi programmati, ad eccezione di qualche lieve ritardo dovuto al maltempo e ad alcuni imprevisti, come il ritrovamento di siti archeologici avvenuto a Pilastri di Bondeno. Anche i prefabbricati modulari – in totale 32 – sono stati ultimati nei tempi programmati. In entrambi i casi, le imprese hanno effettuato doppi e tripli turni di lavoro, pur nel rispetto delle normative su sicurezza e legalità.
Il Programma operativo scuole è stato portato a termine con risultati oggettivi. Nell’ottobre dello stesso anno tutti i ragazzi sono tornati in classe rispettando puntualmente l’apertura dell’anno scolastico. Uno sforzo organizzativo di proporzioni considerevoli, a cui hanno partecipato attivamente anche progettisti e tecnici provenienti da precedenti esperienze – come quelle dei terremoti di Marche e Umbria del 1997 e del 2009 in Abruzzo – oltre a direttori dei lavori, imprese esecutrici, lavoratori e ben 19 uffici amministrativi regionali e comunali. Un gruppo di lavoro coordinato dalla struttura tecnica del Commissario delegato che, grazie all’impegno di tutti i soggetti coinvolti, ha portato a realizzare 60 nuove strutture scolastiche e il ripristino di oltre 300 edifici in meno di cinque mesi. Un’impresa dal punto di vista organizzativo ma anche economico: 256,5 milioni di euro l’investimento complessivo, per garantire alle ragazze e ai ragazzi la continuità della formazione e alle famiglie la possibilità di trovare un nuovo equilibrio.
La catena umana di vigili del fuoco e volontari per svuotare le farmacie coinvolte nei crolli e mettere in salvo i medicinali, il centro sociale trasformato in ambulatorio medico e infermieristico, i prelievi di sangue effettuati rispettando la programmazione ma in situazioni di fortuna. Sono immagini che gli abitanti delle aree del cratere hanno ancora negli occhi e che non dimenticheranno facilmente. Solo nel distretto di Modena, il più colpito, vengono evacuati 3 ospedali pubblici (Finale Emilia, Mirandola e Carpi) e una parte dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Modena; stessa sorte per il nosocomio di Bondeno (Ferrara).
I pazienti vengono trasferiti nei diversi ospedali del territorio rimasti operativi e in prossimità degli edifici svuotati sono allestiti punti medici avanzati in cui opera il personale medico e infermieristico ospedaliero per attività di accettazione e valutazione dei pazienti con patologie a bassa criticità, di tipo traumatico. I medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta che operano nel territorio – e che in molti casi hanno perduto l’ambulatorio – da subito assicurano assistenza alla popolazione, prima sul luogo della catastrofe, poi nei punti medici avanzati attivati in emergenza o nelle comunità di accoglienza che si vanno costituendo presso le palestre, le tendopoli, i campi sportivi, le polisportive. Al contempo le Asl assicurano la sorveglianza delle condizioni igienico- sanitarie e di sicurezza alimentare nelle strutture di accoglienza mediante sopralluoghi periodici, ponendo particolare attenzione ai campi tenda e alle realtà con maggiore numero di ospiti. La popolazione viene assistita anche dal punto di vista psicologico: i punti medici avanzati vengono dotati di neuropsichiatri e psichiatri, mentre gli psicologi si distribuiscono presso i campi e le strutture di accoglienza per dare supporto a una popolazione traumatizzata.
Le imprese sono probabilmente le più attrezzate a reagire alle turbolenze, anche perché dal 2008 in poi – limitandoci agli ultimi vent’anni – la nostra economia di crisi ne ha conosciute parecchie. Nel 2012, quando il terremoto colpisce tanto duramente una delle aree produttive più importanti del Paese, l’Italia è in piena recessione e il Governo è nuovamente costretto a rivedere le previsioni di crescita del Pil. Ervet all’epoca annotava: “L’Annual Disaster Statistical Review (2012) riporta che l’ammontare in Europa dei danni causati da disastri naturali è stato nel 2012 pari a 24 miliardi di dollari, il più elevato del decennio, più del doppio rispetto alla media nel periodo 2002-2011. E tale incremento è spiegato dagli effetti del terremoto dell’Emilia (…) il cui impatto economico è stato il più elevato sia fra quelli registrati in Europa dagli anni Novanta per i disastri di tipo geofisico, sia rispetto al totale dei disastri naturali che hanno colpito l’Italia dagli anni Ottanta”.
L’attenzione al lavoro e all’impresa ha giocato un ruolo cruciale, in una fase di difficoltà economica e di incertezza sulla capacità di tenuta del sistema produttivo per effetto della crisi economica.
Eppure, dopo le scosse terribili in cui perdono la vita operai e imprenditori, dopo i soccorsi, i lutti, le ispezioni di agibilità e gli sforzi per portare in salvo ciò che resta, quando i telefoni delle imprese squillano e dall’altro capo è Ervet (che ha l’incarico di contattarle per sondare i bisogni di ciascuna) in molte aziende i lavori di ripristino sono già partiti, malgrado siano trascorsi pochi giorni. Nel caos dell’immediatezza, nonostante le difficoltà e talvolta con irruenza, tutti si sono dati da fare. Questo è un territorio fitto di relazioni produttive incorporate nel tessuto sociale, capace di generare un’ampia varietà di prodotti e servizi: agroalimentare, tessile e abbigliamento, macchine per la componentistica, prodotti ceramici, apparecchi biomedicali. Una rete di interrelazioni che spiega perché l’impatto dell’evento sismico ha portato al fermo di produzione. Ma allo stesso tempo le caratteristiche di questo territorio spiegano anche la sua forza, la sua immediata capacità di reazione. La priorità unanimemente riconosciuta è stata quella del lavoro, nel tentativo di contrastare l’impatto sull’occupazione generato dai tanti crolli degli stabilimenti produttivi. La scelta è stata quella di gestire l’emergenza in un percorso di regole definite che avessero sin da subito come obiettivo la ricostruzione e il rilancio, per evitare il dilatarsi dei tempi di emergenza e i conseguenti rischi di impoverimento del territorio.
L’integrazione tra provvedimenti per la liquidità, per la delocalizzazione temporanea delle attività e per la ricostruzione, unita alla partecipazione attiva e collaborativa sia delle istituzioni, sia della popolazione, si è rivelata fin da subito una ricetta altamente performante. Il principale intervento normativo a supporto del tessuto produttivo nella fase acuta dell’emergenza è rappresentato dall’ordinanza n. 57/2012 che ha definito i criteri per il ristoro dei danni relativamente al ripristino di immobili e di beni “accessori”, quali beni strumentali, scorte, prodotti Doc e Igp, nonché ai costi sostenuti per la delocalizzazione temporanea. Una misura con la quale per la prima volta si riconosce il danno di categorie diverse dall’immobile, mettendo in campo una procedura amministrativa del tutto innovativa. Ma il cuore degli interventi a favore del sistema produttivo è senza dubbio l’introduzione di un unico canale telematico di dialogo amministrativo con le imprese – la piattaforma Sfinge – che si è rivelata un potente acceleratore dei processi, fornendo al contempo una mole di dati affidabile per riflessioni e studi sull’approccio alle calamità. Grazie a questo mix di azioni, il riavvio delle attività è avvenuto in un arco temporale relativamente breve, tanto che già nel primo trimestre del 2013, in provincia di Modena, il valore della produzione era ritornato sui livelli pre-sisma.
Nelle prime fasi emergenziali si deve fare i conti anche con le oltre 650 mila tonnellate di macerie causate da crolli, un complesso di detriti il cui smaltimento è fondamentale per portare avanti le attività di ricostruzione, ripresa e messa in sicurezza. Per facilitare e velocizzare il processo viene predisposto un percorso normativo per la gestione delle attività. Le macerie del sisma vengono classificate come rifiuti urbani e rimosse dai gestori degli stessi nei Comuni del cratere. Il materiale è trasportato e conferito presso gli otto impianti dell’area, dove viene pesato, registrato, selezionato e destinato a recupero per utilizzo nella copertura e viabilità interna delle discariche o avviato ad altri impianti per la destinazione definitiva.
Un iter che garantisce quella rapidità di azione necessaria alla tempestiva ricostruzione, ripresa economica e assistenza alla popolazione. La gestione delle attività – da parte di concessionari di pubblico servizio e della rete di impianti del territorio – consente la completa tracciabilità dei flussi, la minimizzazione della movimentazione e dei costi di gestione del materiale.
Le macerie rimosse corrispondono a circa 8 campi da calcio con un’altezza del cumulo di 10 metri.
In seguito al sisma si è sviluppata una straordinaria gara di solidarietà, che ha raggiunto il suo apice nei mesi immediatamente successivi, ma non si è mai interrotta. La grande emozione suscitata nell’immediatezza a tutti i livelli, istituzionali e informali, unita ai due grandi eventi trasmessi dalle reti televisive nazionali – il Concerto per l’Emilia allo Stadio Dall’Ara di Bologna e Italia Loves Emilia al Campovolo di Reggio Emilia – ha consentito di raccogliere da subito i 14,4 milioni di euro grazie ai soli sms solidali, senza contare gli introiti dei biglietti e del merchandising, con i quali si sfonda presto il tetto dei 30 milioni di euro.
Nel corso dei dieci anni trascorsi dal sisma, la raccolta solidale raggiunge i 60,5 milioni di euro, senza fermarsi mai. Così come non si interrompe mai, da parte della Regione, l’impegno ad accompagnare i ringraziamenti con un gesto ancor più concreto: la rendicontazione puntuale e trasparente della destinazione dei fondi raccolti e lo stato di attuazione dei progetti finanziati, attraverso il portale Open Ricostruzione.