Stefano Bonaccini
Presidente Regione Emilia-Romagna e Commissario delegato alla ricostruzione
Rivedendo le immagini del terremoto riaffiorano ancora oggi le stesse emozioni di dieci anni fa.
I nostri centri storici ridotti a cumuli di macerie. I capannoni delle aziende ripiegati su loro stessi. Scuole inagibili e case inabitabili. La disperazione di chi perse un familiare, un amico o un collega. La paura e l’incredulità di un’intera comunità. In un attimo, il 20 maggio 2012 alle 4.03 ci scoprimmo tutti vulnerabili come mai avevamo pensato.
Nella distanza che separa quelle immagini di allora dai luoghi di oggi c’è una ricostruzione definita ‘esemplare’ dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. C’è la voglia e il coraggio di ripartire, che scattarono fin dal primo giorno. E di farlo insieme. Neppure le nuove, tremende scosse della mattina del 29 maggio fiaccarono lo spirito della gente: “barcollo ma non mollo” o “tengo botta” erano le espressioni più ricorrenti, che esprimevano il bisogno di non arrendersi, la voglia di aiutarsi, la speranza di uscirne anche quella volta più forti di prima.
Il lavoro della ricostruzione non è finito, siamo ancora oggi impegnati a completarlo. Soprattutto per ciò che riguarda la parte pubblica e il patrimonio storico artistico. Ma con le famiglie pressoché tutte rientrate nelle proprie case e con le aziende tornate nei capannoni, possiamo dire davvero che il più è fatto. Abitazioni e negozi, attività produttive e fabbricati agricoli, scuole e servizi, tantissimi nuovi spazi dedicati alla socialità, alla ricerca e all’innovazione: se oggi questa parte dell’Emilia produce addirittura più di prima il merito va diviso tra tutti. Un grande lavoro corale. Questo volume racconta proprio una storia collettiva, che merita di essere raccontata con pazienza. E merita di essere ascoltata sia qui, perché la memoria collettiva è un patrimonio prezioso di identità, sia nel Paese, perché ciò che qui è stato fatto possa essere patrimonio per l’Italia.
È una storia di cui andare orgogliosi perché parla di laboriosità e di coesione; di istituzioni che hanno collaborato e di associazioni che hanno cooperato; di imprenditori e lavoratori che insieme hanno rialzato le aziende e di famiglie che hanno messo al primo posto le scuole dei propri figli e nipoti.
Le scosse del 20 e 29 maggio hanno devastato uno dei distretti produttivi più importanti di tutta Italia, colpendo 59 comuni nelle quattro province di Modena, Ferrara, Reggio Emilia e Bologna. Un bilancio drammatico: 28 morti e 300 feriti. Danni per oltre 12 miliardi di euro, la cifra più ingente dopo il sisma dell’Irpinia. E oltre 45 mila sfollati.
Il nostro pensiero continua ad andare a chi perse la vita e ai loro cari, perché quella è davvero l’unica cosa che non può essere ricostruita. Sul resto, invece, non ci siamo mai fermati: neppure nella pandemia o nella crisi energetica, che negli ultimi due anni hanno fortemente ostacolato i lavori delle imprese e dei cantieri, oltre che la socialità dei luoghi riconsegnati alle comunità.
C’è un altro scatto che mi è rimasto impresso di quei giorni. Il grande pubblico forse ha dimenticato l’immagine delle crepe che si aprirono lungo i campi nella Bassa, impressionanti fratture nel terreno da cui montava terra e fango. Era la dimensione della ferita che ci siamo trovati a dover rimarginare, scacciando la paura di venirne inghiottiti.
La storia della ricostruzione in Emilia-Romagna parla anche della tenacia dei nostri amministratori, delle sindache e dei sindaci che insieme a Vasco Errani hanno tenuto insieme le persone nell’emergenza, e progettato e poi avviato la rinascita. La nomina del Presidente della Regione a Commissario per l’emergenza e poi per la ricostruzione da parte del Governo fu un’intuizione decisiva e il presupposto di una scelta giusta: poteri speciali ma per ricostruire dal basso, attraverso le istituzioni di questo territorio, insieme ai cittadini. Nessuno più di chi guida la Regione e i Comuni poteva conoscere meglio le comunità locali e le loro necessità, nessun cittadino potrà mai trovare interlocutore istituzionale più vicino del proprio sindaco. È una pratica che da allora è stata adottata anche in altre emergenze nel nostro Paese.
Fin dai giorni successivi alle scosse, ci si è mossi con metodo: l’urgenza di dare un tetto agli sfollati e il censimento degli immobili civili e industriali, pubblici e religiosi crollati o danneggiati; da qui il contributo per l’autonoma sistemazione delle famiglie – davvero pochissime tendopoli e casette in Emilia-Romagna – e una rilevazione dei danni agli edifici che consentisse poi di operare con metodo, distinguendo l’entità dei danni e codificando tipologie di intervento adeguate. E ci si è mossi condividendo priorità: le scuole, per assicurare che bambini e ragazzi potessero tornare in aula nel vicinissimo settembre; e le imprese, perché il lavoro in Emilia è tutto.È così che i nostri figli non hanno perso un giorno di scuola e abbiamo difeso i posti di lavoro di questa terra.
Nessuno qui ha mai pensato a new town, a paesi, spazi e luoghi da rifare ex novo altrove. Per noi anche la più piccola delle frazioni ha un nome e un’identità. Ricostruire come prima è stata un’altra scelta precisa per trattenere qui le famiglie e le imprese; ricostruire meglio di prima – con edifici più sicuri, più efficienti e sostenibili, magari con funzioni aggiornate – è stato il modo di fare tesoro di quanto accaduto e uscirne più forti. Investire su identità e futuro, ecco cosa abbiamo provato e stiamo provando a fare. Nell’identità ci sono chiese e teatri, piazze e ospedali. Nel futuro che stiamo costruendo ci sono la ricerca e la formazione, le nuove reti e i servizi.
In questi dieci anni abbiamo sperimentato e adottato soluzioni innovative molto importanti. Penso al Girer, il “Gruppo interforze ricostruzione Emilia-Romagna” gestito insieme alle Prefetture, che ha tenuto a distanza la criminalità organizzata in un ambito dove questo rischio era molto concreto, grazie all’azione congiunta e al monitoraggio costante della Guardia di Finanza e delle forze dell’ordine, insieme alle autorità inquirenti. Ci sono le ‘white list’ delle aziende chiamate a ricostruire, gli accordi su controllo e vigilanza degli appalti pubblici. Ancora: le misure per il recupero organico dei centri storici, la loro rivitalizzazione: bandi per il rientro o la nascita di botteghe artigiane, negozi, bar, servizi e studi professionali, luoghi di socialità nelle aree più colpite dal terremoto. Ci siamo dati queste regole “negoziando” con ben otto, successivi governi – a proposito di anomalie italiane – ma tenendo fermo un nostro impianto istituzionale: il ‘cratere’ dei Comuni colpiti con la cabina di regia dei sindaci riuniti periodicamente per decidere insieme; un tavolo tecnico con imprese, sindacati e professionisti per vagliare problemi e provvedimenti, una commissione congiunta per sismica e soprintendenza per esaminare i progetti. Oggi cratere e comitato dei sindaci sono ridotti ad un quarto rispetto a dieci anni fa: non è finita, ma siamo vicini alla meta. E dopo emergenza e ricostruzione, ora siamo già impegnati nel progettare la “terza fase”, per costruire quello che non c’è mai stato e che servirà alle comunità di domani.
Ci tengo a ringraziare quanti nell’emergenza sono venuti qui per aiutarci a risollevarci: tutte le operatrici e gli operatori del sistema di Protezione civile arrivati davvero da ogni luogo, con cui si sono creati legami straordinari tra persone e territori; e gli artisti, i cantanti e musicisti che in grandi concerti, già nei mesi successivi, permisero l’abbraccio corale che fece capire all’Emilia-Romagna che non era certo sola, anzi!
Un calore che ogni volta proviamo a ricambiare, facendoci trovare presenti lì dove c’è un’emergenza e dove serve. Ovunque. Un ringraziamento di cuore lo rivolgo a sindaci, amministratori, tecnici, imprese, volontari, professionisti e operatori sanitari, sociali e della scuola; a quelli di allora e a quelli di oggi, naturalmente, artefici di una staffetta che non si è mai fermata.
Ma il ringraziamento più forte lo merita la nostra gente: persone comuni che non si sono mai arrese e che hanno fatto la propria parte ogni giorno.
Senza il contributo di ognuno di voi non sarebbe stato possibile ripartire e ricostruire. Grazie davvero. Il poeta Roberto Roversi chiedeva si tornasse al coraggio di difendersi dal presente “Alzando da terra il sole”. Almeno un po’, qui lo abbiamo fatto davvero.