Non diversamente da altri ambiti della ricostruzione emiliana, anche per il patrimonio culturale la chiave è nella continuità. Una parola che richiama la dimensione simbolica dei beni culturali, considerati non solo come un serbatoio di memoria che mantiene vivo il tessuto connettivo di una comunità, ma anche come garanzia dello spazio identitario delle generazioni future. È dall’idea di continuità che scaturisce quella di resilienza, di cui la continuità è al contempo impulso generativo e orizzonte. Ed è in questa prospettiva che la ricostruzione post-sisma del patrimonio culturale in Emilia diventa rigenerazione forzata che, attraverso percorsi sperimentali e condivisi, dà vita a un nuovo modo di fare comunità.
In seguito al sisma, con decreto governativo del 2012, viene istituita l’Unità di crisi e coordinamento nazionale, che ha la funzione di monitorare e coordinare le diverse fasi emergenziali connesse alla salvaguardia del patrimonio culturale danneggiato; con lo stesso provvedimento viene costituita l’Unità di crisi regionale, articolata a sua volta in tre unità operative:
– l’Unità di coordinamento tecnico degli interventi di messa in sicurezza sui beni architettonici, storico-artistici, archeologici, archivistici e librari (operativa sul territorio con architetti, tecnici, restauratori, storici dell’arte e archeologi del Ministero) ha il compito di pianificare e realizzare a brevissimo termine gli interventi di messa in sicurezza dei beni culturali immobili, che rappresentano un immediato pericolo per l’incolumità degli abitanti;
– l’Unità dei depositi temporanei e del laboratorio di pronto intervento sui beni mobili, collocata presso il Palazzo Ducale di Sassuolo, con il compito di conservare temporaneamente i beni mobili (per lo più opere pittoriche e scultoree) recuperati dagli edifici lesionati e di fornire le prime cure, grazie ai tecnici dell’Istituto superiore del restauro del Ministero e i restauratori dell’Opificio delle pietre dure di Firenze;
– l’Unità di rilievo dei danni al patrimonio culturale, composta da squadre miste formate da personale ministeriale e da ingegneri strutturisti, con il compito di stimare i danni causati dagli effetti del sisma.
Il sisma danneggia centinaia di edifici storici tutelati, inseriti nel territorio urbanizzato e in quello rurale, di particolare rilevanza sia per il loro valore storico- architettonico, sia per la loro funzione identitaria. L’obiettivo, senz’altro complesso, è restituirli alla loro integrità preservando e valorizzando i tratti distintivi dello spazio architettonico e i riferimenti culturali ed urbani di appartenenza. A tal fine, il Commissario delegato, con l’ordinanza 53/2013, istituisce la Commissione tecnica congiunta, assegnandole il compito di analizzare i progetti preliminari relativi agli edifici sottoposti alla tutela del D.lgs. 42/2004 e successive modifiche. Un metodo che si fonda su percorsi condivisi per dar vita a un nuovo modo di fare comunità, valorizzando i tratti distintivi dello spazio pubblico e preservandone la dimensione identitaria. L’analisi delle pratiche segue un iter ben preciso. I funzionari incaricati dell’istruttoria partecipano ai lavori della Commissione, sulla base della valutazione effettuata per gli aspetti di relativa competenza, con l’obiettivo di fornire un parere condiviso sulla proposta progettuale. La Commissione, poi, effettua un esame congiunto ed esprime un parere, fornendo un indirizzo unitario sugli aspetti relativi agli interventi strutturali e all’interesse culturale del bene.
Al termine di una capillare ricognizione, le opere di ripristino e restauro del patrimonio storico artistico confluiscono nel Programma delle opere pubbliche e dei beni culturali: un unico contenitore per tutti gli interventi di ristrutturazione e miglioramento sismico degli edifici destinati a uso pubblico, sia a proprietà pubblica che a proprietà privata. Le risorse a copertura degli interventi del Programma, distribuite in Piani attuativi annuali, ammontano complessivamente a quasi 1,5 miliardi di euro, di cui circa il 79% destinate ai beni culturali. La parte più consistente delle risorse, pari a poco più di un miliardo di euro, proviene da fondi del Commissario delegato per la ricostruzione. La restante quota, pari a circa 473 milioni di euro, è coperta da co-finanziamenti provenienti da donazioni private, fondi e disponibilità degli enti attuatori, nonché dai rimborsi assicurativi. In totale, gli interventi finanziati nei dieci anni della ricostruzione sono 1.708.
Gli interventi prioritari vengono indicati nei piani annuali su proposta dei diversi soggetti attuatori. Si tratta di 122 enti di natura eterogenea, tra cui enti locali, ovvero Comuni e Province, enti non di diritto pubblico – ma equiparati per le funzioni collettive ricoperte dagli edifici di culto, quali Diocesi, parrocchie ed enti ecclesiastici –, Consorzi di bonifica, Aziende sanitarie e ospedaliere, il Ministero dei Beni culturali e il Provveditorato interregionale alle Opere pubbliche, per citare solo i soggetti più coinvolti. Ciascun soggetto attuatore, in piena autonomia – e nel rispetto non solo del regolamento del Commissario, ma anche delle norme nazionali in materia di contratti pubblici – procede all’espletamento delle procedure di gara per selezionare i professionisti incaricati delle prestazioni tecniche e l’esecutore dei lavori. In questo quadro anche le Diocesi, in qualità di soggetti attuatori, implementano una propria struttura tecnica di alta competenza per la ricostruzione, analoga a quella di cui sono dotati gli enti locali, nominando un Rup per ogni intervento e costituendo un vero e proprio ufficio gare. La gestione documentale e il monitoraggio costante del processo avvengono attraverso piattaforme informatiche: nello specifico, l’avanzamento finanziario e la rendicontazione della spesa avviene attraverso la piattaforma denominata Fenice, creata appositamente per agevolare l’erogazione delle risorse e il controllo dei quadri economici, mentre dal 2021 lo scambio di documenti ed elaborati progettuali, di variante e relativa all’esecuzione dei contratti, avviene per mezzo della piattaforma Sacer sviluppata in collaborazione con il Polo archivistico regionale. I soggetti attuatori delle opere – che possono essere sia i proprietari degli immobili, sia gli utilizzatori – per accedere all’assegnazione dei fondi trasmettono i progetti all’Agenzia regionale per la ricostruzione, che li approva dopo un’attenta istruttoria, comprensiva del parere del Ministero della Cultura (per i beni tutelati) e dell’autorizzazione sismica del servizio regionale preposto.
Fin dai procedimenti iniziali di rilascio delle autorizzazioni per i progetti di prima emergenza e di messa in sicurezza dei beni culturali, emergono esigenze contrastanti. L’obiettivo primario diventa dunque quello di garantire un’integrazione delle competenze che permetta alle istituzioni preposte di impartire indicazioni univoche e coordinate rispetto alle esigenze di tutela e conservazione ma anche di messa in sicurezza antisismica per i progetti di consolidamento impattanti sugli elementi di pregio degli edifici storici. Viene così istituita una Commissione congiunta tra la Soprintendenza, il Servizio geologico, sismico e dei suoli della Regione Emilia-Romagna – competente per il rilascio delle autorizzazioni sismiche sui progetti di ricostruzione pubblica – e la struttura tecnica del Commissario delegato, inizialmente chiamata a esprimersi sui progetti preliminari di miglioramento sismico o di rafforzamento locale, successivamente anche sui progetti esecutivi. Si riconosce così l’esigenza fondamentale di integrare competenze architettoniche e strutturali, non solo dal lato dei professionisti incaricati delle progettazioni, ma anche da quello delle strutture di vigilanza e controllo preposte all’esame delle stesse.
Dopo il sisma, su 495 chiese danneggiate ben 325 risultano inagibili. Per il loro recupero, a oggi sono state stanziate risorse per 346 milioni di euro su 478 edifici (fondi del Commissario e cofinanziamenti). Già poche settimane dopo le scosse, per assicurare la continuità di culto nelle comunità con danni gravissimi alle chiese locali, vengono realizzati 15 edifici provvisori, per una spesa di quasi 6,3 milioni di euro. Al fine di garantire la continuità dell’esercizio del culto, pochi mesi dopo il sisma viene poi avviato un primo lotto di finanziamenti per cantieri apribili rapidamente, che riguardano 58 chiese, per un importo complessivo di circa 13,5 milioni di euro.